Di Umberto Simonelli
Quando si è in traina, con esche vive o comunque naturali, il successo della pescata viene normalmente attribuito soprattutto allo spot, alla presenza dei pesci e, ovviamente, al tipo di esca.
Spesso, però, si trascura un fatto importantissimo che è la sua presentazione, cioè quel complesso di aspetti che comprendono la velocità, il nuoto e l’assetto: in pratica tutto ciò che contribuisce a rendere la sua andatura quanto più simile all’atteggiamento che quell’animale avrebbe in acqua in condizioni naturali.
E, in questo, gioca un ruolo determinante la guida della barca.
La qualità delle esche è importante, ma anche la presentazione svolge il suo ruolo
Si è sempre detto che, nella traina, la barca è lo strumento più importante
. E se questa affermazione potrebbe sembrare banale, in realtà nasconde una verità su cui è bene riflettere.
Pescare con il vivo non è semplicemente accendere il motore e girovagare tra gli scogli con un’esca al guinzaglio, seguendo le indicazioni del gps e dello scandaglio nell’attesa di incontrare qualche pesce che si decida ad abboccare.
Una succulenta esca viva o freschissima spesso non basta a scatenare l’attività predatoria del pesce, e allora è necessario dare a quell’inganno una bella marcia in più. E’ una cosa più facile a farsi che a dirsi, perché riportare in poco spazio e per iscritto concetti frutto di un’analisi attenta di alcuni eventi capitati più volte può diventare molto riduttivo.
Alla ricerca dei pesci
Spesso l’abitudine ad affidarsi completamente alla strumentazione ci fa affrontare in modo automatico e ripetitivo gli spot che maggiormente preferiamo: un approccio non convenzionale nei momenti di stanca può fare la differenza
Le rotte che si tracciano alla ricerca dei pesci sono quelle che intersecano i tratti più interessanti del fondo, dove si presume che i predatori siano presenti, intenti nella loro attività di caccia: salti di roccia piuttosto che scogli isolati o fondali ricchi di interesse per i noti predoni.
E, se si pesca in un contesto in cui la presenza di pesci è elevata e per di più poco smaliziati, la cattura è a portata di mano. Inoltre, quando questi si imbrancano, la competizione alimentare tra i vari esemplari fa sì che questi perdano ogni diffidenza pur di appropriarsi di quel che passa, anche se si tratta di un’esca malconcia e poco credibile.
Quando la presenza dei pesci, invece, è sporadica e quei pochi esemplari sono sottoposti a una pressione di pesca elevata o semplicemente sono in stasi, ritrovarsi un pesce in canna non è poi così scontato.
La pesca vista da sotto
Sarà capitato di ritrovarsi con uno strike inaspettato, dopo un leggero incaglio sul fondo o dopo aver virato.
Queste evenienze molti le interpretano come una strana abitudine dei pesci: è, di fatto, una falsa intuizione perché i pesci quando aggrediscono un’esca lo fanno in quanto in quel preciso momento il suo “atteggiamento” ne scatena l’indole predatoria, così come accade che lecce amia e ricciole seguano le esche per molti metri a stretto contatto, a volte smusandole, analizzandole a lungo in modo diffidente.
Poi basta un’onda di poppa che accelera l’andamento della barca o un breve recupero ed è strike.
I dentici sono usi aggredire l’esca subito dopo una ripartenza o un incaglio sul fondo che si libera: in questi casi l’aggressione è ancora più violenta del solito
Altre volte capita che pescando in drifting, a bolentino od anche con gli artificiali, allamata una discreta preda, in fase di recupero veloce ci ritroviamo in canna una ricciola indemoniata che aveva deciso di banchettare a spese del malcapitato animale. Tutto ciò, se debitamente analizzato, può dare indicazioni decisive nell’azione di pesca.
Causa ed effetto
Vediamo cosa accade a un’esca quando naviga: finché la velocità di traina è costante, la quota a cui nuota non varia ma, quando l’andatura subisce qualche brusco cambiamento, l’esca tende ad alzarsi o ad affondare secondo la resistenza che l’acqua genera; durante una virata l’esca tenderà a scendere, fino ad adagiarsi sul fondo, per poi riprendere velocità con una rapida variazione di quota, come se scappasse via.
La stessa cosa accade con un incaglio di breve durata: l’esca si ferma e poi riparte improvvisamente. Tutto ciò scatena l’aggressività dei pesci che, interpretando la rapida accelerazione come un tentativo di fuga, si lanciano in un attacco senza appello.
Tra i fenomeni scatenanti c’è anche la velocità di traina, che spesso si rivela l’asso nella manica, perché il rapido sfilare dell’esca davanti al muso del pesce senza dargli tempo di capire, lo convince a un attacco senza troppe remore.
La quota delle esche rispetto al fondo può essere intuita anche dall’inclinazione che la lenza assume rispetto alla superficie del mare; molto spesso in questo modo si riesce a valutare la presenza di corrente sul fondo e la sua velocità
Dalle parole ai fatti.
Come trasformare, allora, queste osservazioni in precise strategie di pesca?
Molto più semplice di quanto si pensi.
La manetta dell’acceleratore sarà la nostra migliore alleata perché, insieme alla perfetta conoscenza dei fondali che batteremo, ci permetterà di far navigare l’esca con una vitalità del tutto particolare, con variazioni di quota e stop & go che risulteranno irresistibili, soprattutto per le prede di fondo.
Affrontare una scaduta preceduta da un fondo uniforme sarà possibile in un nuovo modo: eseguita la passata veloce sul fondale omogeneo e tenendo conto di quanta lenza abbiamo in acqua, rallentando la velocità, l’esca, trascinata dal guardiano, scorrerà tutto il profilo del crinale fino al fondo, transitando proprio nei punti in cui i predatori si muovono o sostano.
Mettendo in relazione la velocità della barca e quello dello scorrimento dell’ecogramma è possibile stabilire il momento preciso in cui far scendere l’esca verso il fondo alla base della scaduta; accelerando o rallentando è anche possibile seguire il profilo del fondo.
Al contrario, quando saremo in prossimità di una rapida risalita, basterà accelerare per salire di quota e lambire le pareti, magari aiutati da un rapido giro di manovella.
Ed anche su fondali omogenei o con lenze a mezz’acqua, un andamento con rapide accelerate e brevi rallentamenti può dare i suoi frutti.
Sulle virate, il naturale affondamento dell’esca può essere controllato invece che lasciato al caso, e sfruttato a proprio vantaggio. In concreto, la modulazione della velocità provoca due situazioni importanti: la variazione di quota e l’effetto fuga, oltre a quello di seguire il profilo del fondo in un modo molto più naturale di quanto sia possibile fare solo controllando il piombo guardiano.
Applicazione scolastica
Fin qui non abbiamo detto nulla di nuovo, cose forse arcinote alla moltitudine dei pescatori ma, mai come in questo caso, tra il dire e il fare… c’è di mezzo il mare!