Di Bruno Niceta
Nel profondo, alle soglie dell’abisso, vive il dentice corazziere, il signore incontrastato di questi luoghi dominati dalle tenebre. Uno dei più grandi sparidi delle nostre acque. La ricerca di questo pesce è una vera e propria mania, perché la sua cattura ha un fascino indescrivibile e si rimane irrimediabilmente stregati dalle emozioni di uno strike.
Insidiare in modo mirato il dentice corazziere è molto impegnativo, perché è tutto più complesso ed è necessario abbandonare gli stereotipi classici della traina col vivo e andare fuori dagli schemi e fuori dalle nostre zone abituali, lasciar spazio al nostro intuito e istinto, apportando tutte quelle modifiche pratiche e mentali che ci porteranno, solo in questo modo, ad avere successo con questo pesce.
Dove
Il dentice corazziere è presente maggiormente al sud della penisola ed in Sicilia e diventa sempre più raro incontrarlo risalendo verso nord. Sebbene ultimamente si siano registrate catture fino al centro Italia, ma di esemplari di taglia minore; segnale di una lenta espansione forse motivata da modifiche ambientali. Il nostro “diavolo rosa” ama le alte profondità raggiungendo anche i 200 metri e forse più. La quota però dove si registrano più frequentemente catture sono quelle comprese tra gli 80 e i 120 metri.
Prime esperienze
Per chi è alle prime armi e si vuole cimentare nell’esperienza del “deep trolling” al corazziere, il primo consiglio è l’analisi dei fondali, tramite un accurato studio delle carte nautiche che ci aiuterà a individuare quelle batimetriche dove poter provare. Cercheremo soprattutto le rapide variazioni di quota dove il dentice corazziere ama cacciare. In presenza di fondali omogenei e che degradano lentamente, la nostra ricerca non potrà fare a meno di un buon ecoscandaglio con il quale cercheremo di individuare tutte le zone coralligene, altro habitat tipico di questo pesce.
Una volta individuata lo spot ideale dovremo affrontare il primo degli ostacoli da superare che è quello della profondità.
Alle soglie dell’abisso
La traina col vivo a queste profondità è impegnativa ed è fondamentale avere un perfetto controllo della nostra velocità, compresa tra i 0,6 e 1 nodo.
Nonostante il corazziere salga anche di parecchi metri per cacciare, le aggressioni alle esche sono più frequenti in prossimità del fondo, quindi il problema principale sarà quello di far nuotare gli inganni il più radenti possibile il fondale.
Se non vogliamo pescare con 1 kg e più di piombo e attrezzature “pesanti”, dovremo cercare di alleggerire al massimo tutto il sistema pescante. In questo caso la parola chiave è “qualità”, perché solo prodotti qualificati garantiscono sezioni e carichi di rottura.
Il primo step da affrontare è quello di avere in bobina un trecciato con una sezione molto sottile che tagli bene l’acqua, il che ci permetterà di usare meno piombo e canne di più morbide.
Questo assetto ci permette di leggere tutto quel che succede sul fondo a tutto vantaggio dell’azione di pesca.
Un altro punto importante è quello di avvalersi di ami robusti e penetranti per riuscire ad avere ragione delle “durissime” fauci di questo pesce. Un’infissione rapida e precisa carica meno il terminale e quando ci si confronta con prede over size, su fondali profondi, tutto deve funzionare alla perfezione.
Le reazioni dei corazzieri sono potenti e con prede da 10 kg e più in canna c’è poco da scherzare.
Il terminale
Potremo usare indistintamente nylon o fluorcarbon, perché la visibilità è l’ultimo dei problemi quando si opera molto profondi. La scelta del fluorcarbon però ci garantirebbe la migliore efficacia in caso di abrasioni, cosa tutt’altro che rara in altro fondale.
Anche la lunghezza del preterminale e del terminale avranno la loro importanza, perché le misure dovranno essere contenute per mantenere un adeguato controllo dell’esca. Un terminale troppo lungo oltre che essere a rischio di incaglio consentirebbe alle esche vive troppa autonomia di quota.
Le esche
Le esche principali saranno costituite da cefalopodi; quindi calamari e seppie anche morti, i polpi ed anche i totani si sono rivelati un’esca ottima soprattutto nel periodo estivo. Le esche morte vanno benissimo a patto che siano veramente fresche e dalle carni sode.
Particolari che fanno la differenza
La pesca in genere, ma questa soprattutto, è fatta della cura dei particolari e della percezione delle variabili che possono fare la differenza. Il che si traduce in sperimentazione e osservazione. In altissimo fondale tutto assume un aspetto più critico, dal vento alle correnti, dalla tipologia di fondale fino al tipo di esca. Capire quando cambiare assetto pescante, recuperare centinaia di metri di lenza in acqua per accorciare anche di un solo metro il mediano, per mettere o levare piombo, o semplicemente per mettere una perlina fluorescente è fondamentale se si vogliono raggiungere risultati.