Magazine Traina col Vivo

L’importanza delle dimensioni… ovvero corto, lungo …lunghissimo

di Umberto Simonelli

Se qualcuno asserisce che le dimensioni non contano sicuramente si sbaglia.. almeno se ci si riferisce ai terminali per la traina con il vivo …

Battute ed allusioni a parte, in questo articolo approfondiremo l’argomento della geometria dei calamenti in uso in questa tecnica, in una ideale prosecuzione del recente articolo di Domenico Craveli “Leader di nome e di fatto: non solo una connessione”.

Analizzeremo più a fondo, a beneficio dei neofiti e non solo, la logica che porta al dimensionamento del complesso pescante.

Ovviamente, e lo ripetiamo sempre, quanto esporremo, non sono regole assolute, ma condivisione di esperienze di pesca e di ragionamenti personali che, oltre a suggerire soluzioni, hanno lo scopo di proporre ai nostri lettori spunti di riflessione che aiutino a personalizzare le scelte.

Rendersi autonomi in pesca, svincolandosi dai soliti schemi, padroneggiando il “perché” di scelte e soluzioni e non solamente il “come” fa la differenza tra “pescatori” e “piglia pesci”.

 

Il dentice il più delle volte attacca le esche in prossimità del fondo. Un terminale più corto può essere vantaggioso

Con il centimetro in mano

La realizzazione delle montature, in qualsiasi tecnica di pesca in mare, non si fa col centimetro, perché non esistono regole matematiche, logiche scientifiche che impongano schemi costruttivi simili a formule chimiche dove ogni elemento debba essere pesato al millesimo di grammo.

 Non facciamo i farmacisti e in un terminale non farà la differenza il metro in più o in meno, almeno nella traina.

Farà la differenza, e molta, capire come, quando e quanto, sarà necessario allontanare le esche dalla barca.

Regole di massima

I principi di base a fronte dei quali si opta per una lunghezza maggiore o minore di pre-terminale e terminale sono due.

Uno è quello di proporre l’esca più lontana dalla barca e l’altro è quello del maggiore controllo dell’esca.

La barca navigando proietta un cono d’ombra sul fondo ed è preceduta e seguita dalle vibrazioni acustiche del propulsore.

Questo fatto, soprattutto quando il fondale è basso e gli spot di pesca sono soggetti ad una pressione di pesca costante, allerta i pesci, soprattutto quelli stanziali che associano inevitabilmente ombre e rumori alla proposta di esche.

Oltretutto la barca, per un pesce, si staglia contro luce in modo importante e riconoscibile; pensiamo infatti che tutti i pesci hanno un ventre chiaro e la groppa scura, per mimetizzarsi meglio quando sono più in alto delle loro prede o più in basso.

Anche il rumore, che ci precede e ci segue, allerta i pesci, non perchè li spaventi ma perché entra a far parte di una situazione ripetitiva.

Un terminale lungo è maggiormente esposto alle correnti oltre a lasciare un elevato grado di libertà all’esca che quindi potrà, ad esempio, cambiare di quota o addirittura tentare di sopravanzare il piombo.

Il terminale più corto ideale per sondare profondità maggiori, mette in contatto diretto il sistema “predatore-esca-canna” e permette segnalazioni immediate delle reazioni delle esche o degli attacchi a quest’ultime anche se appena accennati.

Le cernie hanno tutte reazioni violente e di difesa. In particolare le brune cercano di guadagnare subito la tana. E il controllo della preda diventa determinante … 

Pro& contro

Un terminale lungo si rende opportuno soprattutto quando sono le ricciole il nostro obbiettivo e il fondale non è profondo e vogliamo un’esca che navighi nel pulito, lontano da tutto diventando un irresistibile boccone.

Ma anche quando ci confrontiamo con prede sospettose ed indecise far navigare l’insidia a mezz’acqua, sopra o sotto il termoclino, nel blu su alti fondali, può essere una soluzione indispensabile.

Al contrario su fondali bassi, se lo scopo è quello di far camminare l’esca radente il fondo un terminale lungo potrà essere di difficile gestione.

L’esca potrà addirittura tentare di intanarsi e, ad un possibile strike, i pesci potrebbero avere la meglio guadagnando, prima di ogni nostra reazione, il fondo e rompere il filo sulle rocce.

In questi casi un terminale corto sarebbe di grande aiuto.

Il terminale corto è maggiormente vantaggioso se le correnti sono apprezzabili; la minore superficie esposta (il filo nella sua lunghezza, sebbene sottile, offre molta resistenza) diminuisce lo sbandieramento, migliorando l’incisività dell’azione di pesca.

Molto spesso per avere ragione della sospettosità di sua maestà la ricciola pescare lontani è indispensabile

Corto e lungo .. tradotto in metri

Un terminale (leader + terminale vero e proprio) può essere definito corto  se lungo solo 4 o 5 metri e lungo se raggiunge anche i 30 o addirittura i 40 metri.

In mezzo ci sono tutte le possibili variabili, con uno standard di base che “può” essere considerato tra i 10 ed i 15 mt

Nella pesca comunque non ci sono regole fisse ma molti compromessi.