interviste

Quattro chiacchiere con il Prof. Stefano Cataudella

di Umberto Simonelli

Una nuova intervista ma soprattutto un ospite davvero importante, oltre che un caro amico di vecchia data.
Un nome che forse molti pescatori non conoscono, ma che nel mondo della pesca invece rappresenta un importante riferimento.
Un uomo che ha dedicato la vita alla conoscenza dei pesci, alla loro biologia e che dei pesci sa veramente tutto.
Ma come se non bastasse è anche un appassionatissimo pescatore e uomo di straordinaria simpatia.
Quindi, sveliamo il mistero e diamo un calorosissimo benvenuto al Prof. Stefano Cataudella.

Grazie Stefano di dedicarci un po’ del tuo tempo e della pazienza che avrai nel rispondere alle mie domande.

Stefano, da pescatore e soprattutto da studioso del mare, come stanno veramente le cose? Il mare ed in particolare il nostro mare è davvero un malato molto grave o siamo ancora in tempo per recuperare?

Gli Oceani sono ammalati, certamente con condizioni regionali che possono mostrare diversi livelli di gravità.
L’uso del mare e delle coste, i trasporti, la pesca, le estrazioni petrolifere e molto altro, sono solo alcuni degli impatti che alterano le condizioni degli ecosistemi marini, ma sono soprattutto gli apporti continentali che attraverso i fiumi portano in mare quantità enormi di inquinanti di origine urbana, industriale ed agricola.

Tutto o quasi dalla terra finisce in mare; il mare metabolizza, intrappola, trasporta e restituisce , attraverso l’evaporazione, vapore acqueo che condensando ci rende attraverso la pioggia acqua “ distillata” e dunque il mare ci offre enormi servizi, anche come “discarica”, ma non dovrebbe essere così.

In un pianeta da otto miliardi di abitanti, con circa il 75% della superficie coperto da mari, con volumi d’acqua in gioco enormi , potrebbe perdere la sua capacità’ di depuratore naturale.

Poi le molecole di sintesi, le plastiche ed altre amenità chimiche si sono accumulate, sono entrare nelle catene alimentari alterando i cicli biologici, talvolta sono diventate un limite alla vita di molti organismi sensibili.

Tutto questo nel Mediterraneo è amplificato dall’ ingente uso che ne facciamo da sempre, dai traffici intensi grazie a Suez, dai quasi trenta Stati che vi si affacciano, scaricando appunto in mare tutto e di più e consideriamo  anche che i depuratori sono pochi e spesso mal funzionanti.

Tornando a quello che ci interessa direttamente, in Mediterraneo si pesca da millenni, ma certo nell’ultimo secolo col passaggio della pesca remo-velica a quella motorizzata le risorse sono state ridotte al lumicino.

Alcuni ricercatori stimano che oltre l’80% degli stock siano sovrasfruttati; pesca a strascico, reti a circuizione, milioni di ami da palangari , ma anche la piccola pesca artigianale , spesso illegale e senza limiti, hanno fatto danni irreparabili, pescando giovanili, riproduttori, alterando i fondali, spesso per pochi soldi.

Anche la pesca ricreativa ha giocato il suo ruolo negativo, soprattutto con l’avvento di strumentazioni sofisticate di navigazione e ricerca delle prede, che hanno consentito di raggiungere importanti stock di riproduttori.

Ma certo nulla a che vedere con la pesca industriale senza limiti.
Tornando alle tecnologie riconosco che andare per mare, ispezionare i fondali, attendere una giornata una marca di tonno sullo schermo, è già parte fondamentale della passione.
Però  gli ecosistemi marini stanno messi male e la pesca, sarebbe stupido negarlo, incide fortemente sulla mortalità di pesci, crostacei e molluschi

Ebbene la situazione è grave, ma si potrebbe fare molto, con la presa di coscienza di tutti e con politiche di gestione corrette e realistiche.
Partendo dal principio che i pescatori, tutti, possono essere la forza che salva il mare.
I pescatori non possono essere il solo bersaglio di una politica ambientale fallimentare sulla terra emersa e si deve tenere conto che non esiste solo l’Europa, con regole spesso velleitarie, ma che tutti debbono essere in prima fila per salvare il mare.

Dobbiamo raggiungere obiettivi di conservazione degli ecosistemi; un 30 % di superfici protette, senza bracconaggio, daranno pesci per tutti i ricreativi che amano il mare e lo rispettano, come ci chiedono le nuove norme.
Con piani di gestione, aree assegnate a professionisti e ricreativi, controlli mirati (i soliti ignoti sono ben conosciuti in ogni porto), si potrebbe fare molto per i pesci  in tempi molto rapidi ed anche per  smaltire l’inquinamento  sebbene con minor velocità.
Occorre una pianificazione spaziale, rotazione delle aree interdette, maggiori deleghe ai pescatori, professionisti e non.
Va anche eliminato il conflitto tra pescatori professionisti e ricreativi, isolando i falsi dilettanti ed i professionisti ai margini della legge.

Posso affermare che  non c’è altra via, ce lo dice la ricerca, ma anche il buon senso.

Voglio farti una domanda un po’ delicata … che però faccio al biologo oltre che all’uomo di mare. E ’convinzione di tutti che ci siano delle forti criticità rispetto ad alcune specie target di noi pescatori ricreativi. Tanto per dirne alcune la palamita, la ricciola, la spigola, ma anche le aguglie, per esempio, sono fortemente rarefatte, insieme ad altre specie oggetto delle nostre tecniche amatoriali. E’ realmente la conseguenza di un over fishing o ci sono anche altri motivi?

Certamente alcune specie, mi riferisco alla cernia bruna, al sarago maggiore, al sarago pizzuto, alla corvina, ecc.. hanno subito un forte impatto anche a causa della pesca ricreativa e sportiva con particolare riferimento alla pesca subacquea.
Man mano che abbiamo migliorato le tecniche gli effetti su queste specie sono stati pesanti.

Oggi si effettuano catture  anche ad oltre 30 metri di profondità.
E’ innegabile che reti e palamiti abbiano  fatto la loro parte negli stessi ambienti.
Ma ancora una volta sono stati gli eccessi, come i carnieri incontrollati, se vogliamo parlare di responsabilità dei ricreativi.
Pesci riproduttori che trovano rifugio nelle secche, hanno indiscutibilmente risentito dell’effetto della diffusione della pesca con il vivo, mi riferisco a dentici, a pagri, a ricciole, anche a cernie.

Oggi molti sono diventati maestri in questa tecnica che, priva di una corretta gestione è molto impattante.
Da pescatore e da studioso che ha conosciuto la professione e la passione, ovviamente non posso dimenticare i palangari professionali a dentici con pescate da quintali o le reti monofilamento costiere  capaci di catturare  casse di pagelli da 10 cm.

Quanto pensi che pesi realmente l’impatto della pesca ricreativa sullo stock ittico?

Come ho già cercato di spiegare anche la pesca ricreativa ha impatti su alcune specie e con alcune tecniche in particolare; in alcuni casi, ho citato cernie brune per la subacquea, potrei citare occhioni per il bolentino di profondità, possono avere impatti, anche importanti

Tu sei uno dei massimi esperti di acquacultura e certamente potrai esprimere un parere illuminante su una proposta che tempo fa fu avanzata per ripristinare lo stock di alcune specie pregiate, rilasciando in mare avannotti. Un po’ come si fa con la caccia … può essere una soluzione o corriamo il rischio di perdere la natura autoctona di alcune specie?

Di fatto la fuga di orate e spigole dalle gabbie galleggianti  da impianti di acquacoltura ha fortemente ripopolato, ma solo casualmente.
Le orate allevate vengono per lo più da genitori atlantici che crescono di più e si ammalano di meno.
Oggi che abbiamo consapevolezza degli impatti negativi dei ripopolamenti sulle risorse genetiche delle specie così dette autoctone e locali, possiamo pensare che sia meglio difendere ecosistemi e spazi marini protetti dove i pesci si riproducono e crescono per poi spostarsi in aree di pesca.
Quando penso alle seppie pescate da professionisti ed amatoriali, mi meraviglio che nessuno pensi a mettere strutture per far depositare i grappoli di uova che garantirebbero seppie in quantità, da pescare e da salvare: pescatori organizzati potrebbero fare molte cose divertenti ed utili, come queste.

 

Un’ultima domanda scabrosa, parliamo di reti sottocosta e reti a circuizione. Molti di noi si chiedono perché queste tecniche siano praticate spesso con quantità di prelievi imbarazzanti e poi durante i periodi riproduttivi. Quale è il tuo punto di vista scientifico e di pescatore?

Mi ripeto, e capisco bene l’esigenza di chiarimenti; alcuni amici mi dicevano che certi pescatori calavano chilometri di reti davanti alle loro canne ad orate: a cinque metri dalle scogliere.
E questo accadeva pochi giorni fa a Fiumicino.

Ci sono molte regole non rispettate, ed i controlli avrebbero bisogno di più mezzi; purtroppo la crisi economica e l’immigrazione hanno portato molti pescatori artigianali, dal Senegal, Tunisia, molto capaci e soprattutto in grado di stare in mare con tutte le condizioni, che sono andate a rafforzare le varie marinerie, con la conseguenza di aver incrementato la capacità di prelievo .

Da scienziato e biologo come vedi il fermo pesca delle specie in attualità di riproduzione?

Faccio parte della generazione di ricercatori che hanno proposto il fermo e al di là di ogni considerazione sul fatto che ogni marineria vorrebbe decidere in autonomia , resta il fatto che sospendere l’attività, meglio se in stagioni appropriate, significa ridurre la mortalità da pesca.

Sono evidenti molte contraddizioni, ad esempio la comparsa nel dopo fermo le casse di piccoli pesci di valore basso o nullo, che non potrebbero essere commercializzate, ma anche in questo caso le marinerie si dovrebbero organizzare, operare in consorzi, dato che difendendo il prezzo difenderebbero le risorse.

Pescare meno e pescare meglio, spesso guadagnare di più è frutto di comportamenti migliori e più intelligenti che guardano il futuro.

Da tecnico … cosa mi dici se pronuncio le parole “licenza di pesca”?

Capisco che si tratta di un tema complesso, ma è anche chiaro che non si può operare senza regole.

Il MASAF ha iniziato con un censimento nato per conoscere la situazione, per avere le dimensioni del fenomeno pesca ricreativa e, sebbene ancora in vigore, è evidente che ha avuto poco seguito, per mille difficoltà, dalla complessità di iscrizione a quella dei  controlli.

Ma è evidente che si arriverà ad una forma di autorizzazione/ licenza, speriamo il meno onerosa possibile o anche a costo molto basso, o nullo per anziani.

Non voglio fare il professore, anche io sono nato in un mare libero, dove eravamo in pochi, dove cercavo funghi solo nel bosco, o dove le cernie si muovevano sul fondo come scogli mobili, ma oggi siamo in tanti, con tanti altri impatti, dobbiamo darci regole e vigilare che gli altri le rispettino, altrimenti il futuro sarà breve.

Non sono certo un catastrofista ma è urgente ed imperativo essere partecipi ad un sistema di regole, o  prepararsi a subirle;  perchè ci vogliono pescatori organizzati, giovani dirigenti, visioni e tecnologie moderne di controllo e partecipazione.

Ed ora parliamo di pesca con una domanda di rito che faccio a tutti i miei ospiti: cosa ti ha fatto diventare pescatore e cosa significa il tuo rapporto con il mare?

Ho 75 anni, credo che da almeno 70 penso sempre al mare ed ai pesci e questo mi ha portato in tutto il mondo, mi ha permesso di studiare,  visto che  sono figlio di una famiglia semplice.

Senza la passione per il mare, e senza tanta fortuna, cosa avrei fatto?

La passione mi ha fatto vivere una vita con persone meravigliose, vere.

Il virus arrivò, per un invito sul peschereccio a strascico con mio zio e con la pesca sulla scogliera.

Avevamo trovato scirocco, ed io stranamente  stavo bene e tutti si complimentavano.

Per me era un onore, una fortuna, sfidare il tempo brutto, essere attratto dall’odore di gasolio e di pesce che fa vomitare tutti: pensate cosa può fare la passione nella testa di un bambino

Qual è la tua tecnica di pesca preferita?

Fin da bambino ho amato tutte le tecniche, ho pescato alborelle e marlin, sono stato imbarcato in grandi unità di pesca ed ho preso il largo con piroghe primitive, sempre con la stessa emozione. Emozione che provo ancora oggi, e pensate un po’, mi fa passare anche i dolori alle ossa.

Essere uno come te che i pesci li conosce sul serio rende la pesca più facile …. Insomma se si è biologi marini e si è girato tutto il mondo come te per studiare si pesca di più?

Sinceramente non credo e sono sincero nel dire che molte conoscenze non hanno diretta applicazione nella azione di pesca.

Ho conosciuto pescatori eccezionali, con pochissime conoscenze scientifiche; quando pesco uso più la mia esperienza pratica di 70 anni in mare, che le mie conoscenze.

Noto però che anche  grazie ad internet, ai social, a magazine come Global Fishing ed altro, il livello di informazione è cresciuto enormemente.

Chi mi conosce mi fa continue domande di ittiologia ed ecologia marina, non per pescare di più, ma per sapere ed è un gran bel segnale.

 

Raccontaci la preda che ha segnato la tua vita di pescatore e che non scorderai mai.

Stavo a Torre del Greco a casa di mio nonno, passavo le giornate sulla scogliera a pescare.
Un pescatore mi insegnò come insidiare i cefali con la pasta: fu un colpo di fulmine e pulendo il primo cefalo osservai che questi pesci hanno un filtro particolare nelle loro branchie che gli consente anche di nutrirsi, la cosa mi stimolò la voglia di conoscere e ricercare; fu così che 15 anni dopo discussi la mia tesi di laurea sui filtri branchiali dei cefali.

Quella preda non la dimenticherò mai: ha segnato la mia vita.

Non vogliamo abusare oltre della tua disponibilità e quindi è giunta l’ora dei saluti.
Grazie per questa importantissima chiacchierata che sicuramente è stata molto istruttiva e che ci ha offerto informazioni importanti su cui riflettere.
A presto