Carangidi nel freddo ….
Di Domenico Craveli
Che pesci straordinari queste ricciole: animali quasi mistici, predatori scaltri ma che pagano a caro prezzo la loro curiosità. L’inverno è la stagione migliore per insidiarle a vertical in scenari di pesca spesso diversi e dove il fattore “uomo” è determinante per avere costanza nei risultati.
Alla luce delle esperienze acquisite in intensive sessioni di pesca a VJ alle ricciole, sì è giunti alla conclusione che questo potente predatore è decisamente vulnerabile ai jig, specialmente nei momenti in cui è solito assembrarsi in grossi banchi. Cosa che succede in inverno, quando la temperatura superficiale tende ai 15 gradi?
Concretizzare la cattura da sogno, nello spot giusto e nel momento giusto, non è un obiettivo proibitivo, anzi, dicembre e gennaio sono proprio quelli in cui sono usciti i pezzi da “novanta”. Per contro però, negli stessi periodi, non è nemmeno difficile effettuare indecorose mattanze che hanno portato ad una vera demonizzazione della tecnica.
Fortunatamente questi carangidi alternano momenti di spregiudicata aggressività ad altri di totale apatia, e spesso si abituano ai jig rifiutandoli inesorabilmente. Ecco, questi ultimi sono i momenti in cui si misura la nostra abilità tecnica.
IL DOVE PREVALE SUL QUANDO
La ricciola non è solo la regina delle secche. La troviamo anche su salti di fondale fangosi, relitti e nei pressi delle piattaforme in Adriatico (in questo caso, occhio che non ci si può avvicinare troppo)
Allora come cercare e trovare questi pesci? Le ricciole sono pesci “contestuali”, ossia adeguano le proprie abitudini di caccia e di stasi in strettissima relazione all’orografia sottomarina e alle correnti della zona di confronto.
Questo significa che non esistono regole generali che possano andar bene ovunque, perché ogni settore ha una sua storia che il verticalista deve saper interpretare. Insomma, lo spot ideale da ricciole non è soltanto la “secca dei desideri”, ma esistono, invece, una serie di “punti caldi” che le ricciole frequentano con meticolosa assiduità, e state pur certi che ogni area ha i suoi.
E’ capitato ad esempio di pescare su relitti, che sono hot spot per eccellenza, a profondità di 50/60 metri, senza quasi mai incontrarle e, al contrario, concretizzare numerose catture su un insignificante punto di sbocco di qualche condotta sottomarina.
Oppure, tentarle senza successo nei pressi di imponenti secche o scogliere sommerse, quando invece le lole scorrazzavano su un dislivello fangoso molto accentuato, poco più a largo. Insomma, bisogna fare miglia e provare.
Così facendo, nel giro di qualche tempo, si riuscirà a “mappare” in modo efficace la situazione, cosa che ci permetterà successivamente di pescare quasi a colpo sicuro. L’abitudinarietà di questo carangide arriva a livelli inimmaginabili.
ESCHE DA LOLE
Blu Flame Yamashita… un jig che ha fatto la storia con le ricciole
Quando sono attive e in frenesia, anche un cucchiaio da cucina può garantire lo strike, ma esistono situazioni dove il jig fa davvero la differenza.
Allo spirare dei venti da nord, situazione decisamente ricorrente in questo periodo, le acque in profondità tendono a diventare torbide ed in condizioni di bassa visibilità e le esche che siano dotate di rifiniture glow pare abbiano una marcia in più.
Ma attenzione, non si tratta di jig completamente fosforescenti, ma di artificiali, di colore sgombro, o magari sardina, solo con la “pancia” con questa verniciatura.
I risultati delle numerose prove in mare, nelle condizioni descritte, convergono verso questa direzione. In questi sarà bene pescare con azioni di jerking molto lente, gestendo la discesa del jig, facendolo sfarfallare il più possibile ed agevolando lo strike del predone, con numerosi “stop and go”.
E’ fondamentale acquisire dimestichezza e sensibilità nel percepire gli istanti che precedono l’attacco: la sensazione che si ha in questi casi è una netta mutazione del nuoto del jig, come uno sbandamento, tanto più forte in base alla stazza del pesce che si è interessato ad esso.
PESCI ABULICI
Massimo Sanna, uno dei precursori della tecnica, mentre compie un gesto di grande responsabilità. Il rilascio di un bel pesce
Verticalisti, trainisti, cianciolari, che danno costantemente la caccia alle ricciole, possono, con i loro tentativi, abituare i pesci alle insidie, rendendoli completamente apatici e diffidenti. Siccome la curiosità rimane comunque, ci troveremo a confrontarci con pesci che seguono i nostri jig ma non affondano l’attacco.
Come fare? Qui si deve entrare nella testa dell’uomo pescatore, che deve saper trovare la chiave di lettura della situazione, a volte univoca e irripetibile. E forse questa è la parte più intrigante del gioco. Perché, quando non basta cambiare esca, tutto si sposta sull’azione di jerking, che non deve essere a casaccio, ma assolutamente varia.
Sì! ….. Ma come? Dipende dalla sensibilità di ognuno di noi. Ci sono concetti che non si possono trasmettere a parole e situazioni che non si possono impacchettare, metterci tanto di fiocco sopra e consegnare al destinatario.
Il bello della pesca sta in quell’indeterminatezza che si porta dietro in ogni situazione e dove ogni punto di arrivo non è altro che un punto di partenza su cui riflettere; perché quello che oggi è “legge”, domani potrebbe non esserlo più e ci troveremo daccapo di fronte ad una nuova ed incognita sfida. Perché il mare non è una dispensa dalla quale attingere, aprendo un cassetto. Buon divertimento… si riparte con il gioco duro!